40 giorni in casa: ho imparato che…

Resoconto dei miei “primi” 40 giorni in casa, sperando che ce ne siano sempre meno…

Per noi che abitiamo nel Sud Italia, fino al 10 marzo, parole come quarantena o, come abbiamo imparato ora, “lockdown“, sembravano davvero lontane. Poi, è arrivato il Presidente del Consiglio a ricordarci che l’Italia è una e, come tale, il virus non avrebbe risparmiato regioni, né fatto distinzioni di latitudini.

Per cui, più o meno ieri, abbiamo festeggiato i nostri 40 giorni in casa.

Dopo la rabbia e i timori iniziali, ho rimodulato la mia vita e quella della mia famiglia, cercando di trasformare un periodo di quarantena in un occasione di benessere per la mia casa: dato per assodato che il nostro lavoro fosse completamente fermo, se non aiutare qualche cliente che in bassa stagione aveva programmato i suoi viaggi, non potevo fare altro che dedicarmi a cose per le quali nella quotidianità c’è poco tempo, oltre a godermi mia figlia ogni istante.

40 giorni in casa: cosa ho imparato?

Facendo per lo più la vita della casalinga, cercando soltanto di ritagliarmi qualche ora nella giornata per dedicarmi a eventuali progetti futuri, ho così imparato:

♦ Che odio lavare i piatti i mano, anche se ho un mucchio di tempo da perdere. Ho la lavastoviglie rotta da fine febbraio e, anche prima, nessuno si è mai degnato di venirla a riparare. Ma io odio lavare i piatti e sempre lo odierò.

♦ Che un po’ di lievito e farina possono fare la felicità. Mi sono comportata da italiana media e, più o meno ogni 24 ore, in questi 40 giorni in casa ho sfornato qualcosa di diverso.

Pane fatto in casa
Il mio primo pane fatto in casa

♦ (Ancora in cucina) Che al di là delle soddisfazioni che si possono ricavare dal realizzare qualcosa che solitamente compri al panificio, è bellissimo indossare un grembiule: è come se ti vestissi con una tuta da supereroe e andassi a salvare il mondo.

♦ (Ancora in cucina 2) A cosa servono quei ganci dello sbattitore a forma di fusillo: servono a “incordare” gli impasti che devono lievitare e, ovviamente, ho imparato il termine incordare, che vuol dire rendere un impasto elastico e che si stacchi dalle pareti della ciotola.

♦ (Ancora in cucina 3) Ah, ho imparato anche le differenze tra le farine e quanto sia importante attivare un lievito.

♦ Che, nemmeno con tutta la calma del mondo e con molto tempo a disposizione, non avrò mai il pollice verde. Al massimo, da nero è diventato marrone.

♦ Che a volte le cose non si fanno davvero per tempo. È brutto da dirsi, ma spesso quella chiamata, quel messaggio, viene rimandato proprio perché non c’è tempo. È troppo facile dire che se si vuole, il tempo lo si trova: in realtà, mettersi in contatto con qualcuno, deve esser un attimo speciale, non un atto dovuto e farlo quando si ha poco tempo, potrebbe perdere di valore. In questi giorni, ho avuto il tempo/coraggio di sentire e risentire persone…se non l’avessi fatto nemmeno adesso, sarebbe stato grave davvero.

♦ Che le persone non sono cambiate e che chi era perfido e meschino prima, lo sarà anche domani. Non credo che questi 40 giorni in casa siano stati un insegnamento per tutti e, prima o poi, il mondo ripartirà esattamente da dove si era fermato.

♦ Che la vocina e le manine di mia figlia sono la cosa più bella del mondo. Che nulla avrebbe avuto senso senza di lei, in questi giorni. E che viverla ogni attimo, vederla crescere e apprendere cose nuove, è la cosa più bella che questa quarantena avesse potuto regalarmi. ♥

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