Nell’estate del lontano 2005, soggiornai due mesi a Procida, la più piccola delle isole che compongono l’arcipelago campano.
E quando dico lontano, non lo dico per sembrare una persona matura e navigata, ma perché è lontano nella mia mente. È il periodo che io chiamo “una vita fa” o “l’altra vita”, perché niente più di quel tempo mi appartiene e io ero un’altra persona.
Per questo motivo, ho un ricordo sbiadito di Procida: all’inizio solo negativo, ora anche malinconico, perché in realtà, questo piccolo pezzettino di terra, ha un animo mesto, gentile e riservato. E io sento il disperato bisogno di dargli una seconda opportunità.
Ho iniziato con la lettura del libro “L’isola di Arturo“, che valse all’autrice Elsa Morante, nel 1957, la vittoria del Premio Strega.
Ricordo che, per raggiungere la mia casetta in campagna, lungo le stradine strette, sulla sinistra, c’era un edificio dedicato proprio alla scrittrice e che probabilmente era l’Albergo Eldorado, il cui agrumeto ha fatto da cornice alla stesura del libro,
Durante il mio percorso universitario, avevo studiato i Parchi Letterari, oggi abbastanza dimenticati, e Procida era proprio uno di quelli, dedicato a Elsa Morante.
Ed è per questo, che la scorsa estate (dopo molto tempo, lo so), ho deciso di iniziare la lettura de L’isola di Arturo, con la speranza di passeggiare di nuovo per quelle stradine strette che, nonostante tutto, ho ancora impresse nella memoria e, in fondo, nel cuore.
E quelle stradine, era proprio ciò che mi aspettavo di trovare ne L’isola di Arturo; speravo di riconoscere qualche scorcio, di rileggere i nomi che avevo imparato in quei due mesi, come la Corricella o la Chiaolella.
Invece, tranne qualche menzione al nome dell’isola, è stato difficile sentirsi a Procida, se non per la predisposizione d’animo con la quale mi sono affacciata alla lettura.
Perché poi, in fondo, a me L’isola di Arturo, mi è piaciuto un sacco.
La storia di Arturo Gerace, orfano di madre, che cresce con il mito del padre e che vive nel palazzo di un uomo altrettanto leggendario, Romeo l’Amalfitano.
Una storia e una Procida di avventura, di segreti, di relazioni nascoste e di attesa; sentimenti idealizzati e amori mancati, ma sempre vivi.
Se non ci ho trovato pezzettini di Procida, la colpa è mia; ma ci ho trovato sicuramente la malinconia struggente dell’isola e, per qualche giorno, mi è sembrato di essere di nuovo là.
Eh con le tue parole mi hai fatto venire voglia di visitarla Procida! Adoro la Morante ma questo titolo mi manca. Secondo te conviene prima leggerlo o prima visitare Procida? Mi piace il tema “malinconia struggente” soprattutto in questa stagione ideale. Ecco secondo me vista in autunno Procida potrebbe tranquillamente rientrare nel romanzo. Forse ci sei stata con la bella stagione e l’hai vista invasa dai turisti? 😉
Sai che invece io ho letto solo quello? Ma mi è piaciuto tanto…
Credo sia meglio leggere prima il libro e poi concedersi del tempo a Procida…perché sarà più facile incontrare Arturo per le strade, che l’isola fra le pagine.
Ma meritano entrambe😉😘!
Della Morante avevo letto (e adorato, anche se “forte” nel realismo) “La storia”, ma non “L’isola di Arturo”. Molte persone si innamorano di un luogo prima di averlo visto grazie al potere della lettura e della fantasia, io ad esempio da quando ho letto la saga da cui è tratto Outlander ho un gran desiderio di visitare la Scozia, quindi capisco perfettamente la forza che ti ha condotto verso il libro per rivivere i ricordi di Procida 🙂
Io amo tantissimo leggere, quindi il potere delle parole, su di me, è davvero forte. Pensa che da fan sfegatata di Nicholas Sparks, non vedo l’ora di andare in North Carolina, anche se è completamente fuori da ogni itinerario turistico! 😉